Mi etichetto da solo, grazie!
È inevitabile, quando si interagisce, incontrare opinioni in cui non ci si riconosce. Si può tagliare corto, la maggior parte delle volte, o approfondire quando non si ha una solida opinione in merito, oppure lasciar perdere perché è la #giornatadellagentilezza.
A volte, invece, prende il sopravvento una sorta di istinto di competizione. Non entrerò nel merito di questa dinamica, ma accade anche alle persone più posate, lo garantisco. In queste occasionali circostanze non si resiste alla provocazione altrui, o più lascivamente e deliberatamente si ricorre a lasciarci provocare.
E avviene in questo preciso istante.
“Ah, ma tu sei una zecca comunista!”
“No, ma quindi sei un fascio!”
“… l’amico di Bibbiano!”
“… la nipote di Mubarak!”
…e così via.
Per non parlare poi delle questioni legate al genere o alla giustizia sociale: là le etichette che l’altra parte di deve attaccare all’orecchio, come al maiale in un macello, sono di infinite campiture.
Se avevo un dubbio, o il potere di fermare l’interazione, è a questo punto che io non resisto più. Il pulsante di emergenza non risponde alle frenetiche e ripetute pressioni… semplicemente non è più collegato. E allora: “ma sì!”, tiro quella cordicella sporgente dal plesso solare e accendo la motosega dentro di me, provando quasi un’ondata di gioiosa adrenalina, da rivaleggiare con i peggiori villain di sempre (ironia dell’incoerenza, il post precedente era sulle interazioni positive!).
Odio le etichette, le trovo il peggior tipo di pregiudizio che si possa concepire: tu e la tua identità complessa, sfaccettata, incerta e dubbiosa su molte questioni, vi ritrovate confinati dentro una unico lemma, lercio, sudaticcio, sputacchiato, come se mi avessero reciso tutti gli arti per farmi entrare in una scatola.
Le opinioni che abbiamo sono coltivate nel corso dei decenni, sono state costruite pietra dopo pietra, alcune ristrutturate, altre smontate e rese più semplici, altre sono esageratamente complesse, forse perché non le abbiamo ancora raffinate a dovere, ma sono tutte comunque difficili da esporre, figuriamoci se possono essere risolte da una semplice etichetta. Quasi come dire che sono identiche a quelle di milioni di altre persone… possibile??? il mio orgoglio di medio pensatore non accetta questa superficiale semplificazione, così come chiunque altro si trovasse nella stessa situazione.
Non c’è un buono e un cattivo in questa storia. Non sono io il buono che, poverino, è stato etichettato e l’altra parte cattiva perché lo ha fatto. Sono errori che tendiamo a fare un po’ tutti, un po’ per superficialità, un po’ per sano e meritatissimo dispetto.
Trovo molto più sensato, a questo punto, cogliere il fiore dell’opportunità nato dalle macerie della crisi… mi etichetto da solo.
Abbiamo profili dove già dobbiamo usare poche parole, significative, per descriverci: usiamoli per mettere in mostra le nostre etichette come fossero medaglie, magari sporche di sudore e sangue, rovinate, strappate, bruciacchiate… lasciate l’epica scorrere dentro il vostro profilo…
…oppure non prendiamoci troppo sul serio e ridiamoci su, con una bella pinta di birra, e ‘fanculo a chi ci vuole male!