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3 Ragioni per curare un account su LinkedIn

LinkedIn è definito in molti modi. Io ritengo che sia un social network orientato alle relazioni di affari e lavoro. Probabilmente non è stato il primo servizio online dedicato al business, ma la sua preponderanza odierna di iscritti attivi, rispetto a tutti gli altri - magari più settoriali o di nicchia - è indice del fatto che probabilmente ha interpretato meglio questa esigenza, offrendo una ampia gamma di servizi e possibilità di interazione. Per chi cerca un lavoro, o voglia esplorare altre opportunità di carriera, in ambito tecnico, professionale o manageriale, probabilmente rappresenta la più grande offerta mondiale. Inoltre consente di mantenere delle cordiali, benché opportunamente distinte, relazioni con fornitori, clienti, colleghi e - in qualche caso non senza imbarazzo - con conoscenti, amici e parenti.

Se hai letto l’articolo fino a questo punto, ti devo dare un brutta notizia, poiché le ragioni per avere un account sono già finite. Certo potrei dire, affermando la verità, che il mio attuale impiego, e anche il precedente, li ho trovati proprio su LinkedIn, e per questo sono loro profondamente grato per aver creato questa piattaforma. Ma il lavoro che ho ottenuto attraverso LinkedIn (e non grazie, come compare sul profilo) sinceramente e onestamente, me lo sono guadagnato con le mie forze e competenze. Non è che LinkedIn mi abbia raccomandato perché consapevole delle mie capacità…

LI è certamente una realtà importante per molti che leggeranno questo articolo (hai 2 possibilità su 5 di essere una persona che ha seguito il link sotto al mio post su LinkedIn), e non vorrei sembrare troppo irriconoscente verso questa piattaforma che tutto sommato da la possibilità di esprimermi anche con una voce critica, seppure io abbia predisposto una sorta di trappola semantica con titolo, descrizione e primo paragrafo di questo post, per cercare di non essere sgamato da qualche bot addetto all’individuazioni di post malevoli, e avendo inserito il link a questo post in un commento, per non essere penalizzato nelle impressioni sulla timeline per aver condiviso un link esterno.

Ma fino a qui va tutto bene. Tutto è nei parametri di un normale servizio gratuito, e per alcuni con qualche forma di premiumship, che in cambio di qualche “misero” metadato (età, sesso, luogo di attività, professione, esperienze, progetti, competenze e rete di relazioni) offre la possibilità di espandere la propria rete e avvicinarsi a tutte le fantastiche opportunità di lavoro, relazioni ed esposizione che meritiamo.

Credo di essere, anche per LinkedIn, un early adopter dato che la mia iscrizione risale a prima del 2008, in un’epoca in cui il sito era solo in inglese. Avevo deciso di creare una identità online, essere professionalmente riconoscibile e di aiutare la crescita dell’Azienda per cui lavoravo all’epoca. E lo rifarei.

Il mio problema con LinkedIn, oggi, è legato all’appiattimento e all’abbrutimento di una maggioritaria massa di individui, che generano un inutile rumore di fondo con contenuti di scarsissima qualità, talvolta copiaincollati da Facebook, da TikTok o da altre improbabili sorgenti (incluso, ma non limitato a, ChatGPT).

Contenuti che con il business non hanno nulla a che fare: meme motivazionali, annunci equivocabili e spesso non veritieri, profusioni di buzzword per cavalcare gli Hype Cycle di Gartner, campagne di investors distraction, millantazioni e ostentazioni varie ed eventuali.

Saruman che osserva il Palantir, con sovraimpresse le lettere 'in' di LinkedIn. I diritti dell'immagine appartengono a Middle-earth Enterprises, fair use.
E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te. (Friedrich Nietzsche)

Questo rumore rende più difficile l’individuazione di contenuti meritevoli di attenzione, e, per i loro abituali autori, incoraggia la riduzione nella loro produzione e diffusione. Questo è un beneficio, che inizialmente tutti gli utenti avevano, che ci è stato tolto unilateralmente dalla piattaforma. Meno 1.

Dal punto di vista delle relazioni e dei nuovi contatti, poi, a parte le connessioni per conoscenza diretta, la stragrande maggioranza di quelle estranee di cui ho avuto esperienza, appartengono a 2 sole categorie:

  • quelle che fanno tiro a volo con qualunque profilo abbia una minima attinenza con la loro prospect persona proponendo brochure, cataloghi, prodotti al primo contatto.

  • quelle che propongono irrinunciabili opportunità di assunzione, per job description fumose, incomplete e senza contesto, in cambio di un nuovo e sgargiante CV per le loro banche dati.

Una volta, per lo meno, ci si leggeva sui gruppi, ci si interessava gli uni gli altri e si decideva di stabilire una connessione, hai visto mai che in futuro potesse rappresentare una reciproca opportunità. Questo networking positivo, che in un paio di occasioni ho realmente sperimentato, è stato provvidenziale e soddisfacente. Peccato che non sia più perseguibile. Meno 2.

Infine volevo evidenziare un aspetto più sociologico. Non sono un sociologo, ma non sono estraneo ad alcuni concetti di base della disciplina, ossia alle relazioni di potere. Più scorro la timeline preparata dall’algoritmo di LinkedIn, più noto, con sempre maggiore frequenza, l’irradiarsi di relazioni asimmetriche in cui alcuni soggetti qualificati, esprimendo idee velatamente antisociali (razzismo, sessismo, e altre atroci amenità) sono in grado di raccogliere numerosissime reazioni di approvazione, commenti carichi di revanchismo, lodi sperticate… e qualcuno che ci mette sopra anche un carico da 10. Poi vai a vedere chi siano queste persone acclamanti ed entusiaste e trovi impiegati della stessa azienda (ma di più basso rango), potenziali fornitori, perfetti sconosciuti che però vogliono una parte di soddisfazione. E osservo conoscenti, di cui conosco pensiero e personalità, magari mettere una “faccina sbiadita” senza nemmeno lontanamente sognarsi di rispondere per le rime, perché il loro capo ha messo invece il “pollice in sù”.

Queste dinamiche del potere fondate sulle Emoji mi terrorizzano e mi fanno riflettere su che cosa sia giusto fare. Meno 3.

Ma vale davvero la pena esporsi ai propri contatti “di valore” andando controcorrente e prendendo posizione non per opportunità, ma per convinzione? Vale la pena rischiare una shitstorm da personaggini di tale fatta per il solo gusto di voler, per una volta, rispondere a tono a una affermazione che ti tappa la vena? Non è forse questo il famoso troll a cui non va assolutamente dato cibo?

Del resto, però, questo è LinkedIn, mica Facebook! Qui mica ci si può nascondere dalla sciorinata di (rispettabilissime) politiche delle Fortune 500 che predicano rispetto e diffusione di diritti civili e sociali, riduzione della carbon footprint ed elogiano il valore delle diversità!

Non conosco la risposta giusta, come sempre per le questioni più social. Semplicemente perché forse sono tutte giuste, ma nessuna sufficientemente convincente… ma facciamo così: io proverò a far esporre delle ragioni, ad estrarre un razionale sensato, a fare affermazioni il più possibile documentate, ma se poi mi senti mandare qualcuno a cagare, invece di togliermi il saluto, mandami un applauso!

Buon LinkedIn!

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