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Una sola Verità.

Sono sempre molto confuso quando affronto discussioni in cui, ad un certo punto, qualcuno tira fuori qualcosa del tipo: “La verità è questa…” oppure “Ci nascondono la verità”. La Verità è un concetto molto discusso nella filosofia di ogni epoca, ovviamente con posizioni molto diverse… e io non mi sento particolarmente preparato, né sufficentemente arrogante, per avere una posizione mia alla pari di giganti come Hegel, Popper o Heidegger. Non posso quindi che raccontarti la mia umile esperienza con questo concetto.

Un disclaimer iniziale: questo post potrebbe essere interpretato anche in chiave teologico-religiosa, ma è lontano da me questo intento. Il contesto di questo post è puramente fisico, non metafisico né spirituale.

Da piccolo, quando i miei genitori non credevano alle mie spiegazioni per qualche guaio che avevo combinato, mi dicevano “Di’ la verità!”. Ricordo che in questi casi le mie “verità” erano combinati di fatti, bugie, sfortune e buone intenzioni, raccontati con il solo scopo di non aggravare la mia posizione e evitare una punizione troppo severa. Quella che percepivo come “vera” verità, era invece qualcosa di molto banale: il guaio capitato di certo per incuria, ingenuità o inconsapevolezza. O per sperimentare qualcosa che aveva portato ad un danno irreversibile su qualche pezzo di arredamento, come quando misi il forchettone di ferro nel caminetto accesso e poi, rovente, ci marchiai a fuoco la cornice in legno, che emise uno sfrigolio e tre colonnette di fumo denso estremamente soddisfacenti. La spiegazione “volevo vedere cosa succedeva” sarebbe stata marchiata come idiozia totale, ma quella del “non me lo aspettavo, c’era uno scarafaggio sulla cornice e lo volevo colpire” sembrava più convincente. Ma non era la verità.

Ciò che da piccolo mi impediva di raccontarla in ogni circostanza, ho scoperto in seguito, era la mancanza di fiducia verso i miei genitori. Temevo che non avrebbero accettato una “versione di me” troppo immatura o inaffidabile. Ovviamente mi sbagliavo, ma non c’era modo di saperlo con certezza - era una verità inaccessibile. Quando da più grande mi resi conto che anche i miei genitori avevano debolezze e facevano anche loro errori di leggerezza o igenuità qualcosa scattò dentro la mia testa e divenni tutt’un tratto consapevole della mia identità. Non avevo più bisogno di nascondere le mie motivazioni, le ragioni dei miei fallimenti, riuscivo ad essere più onesto ed anche esigente con me stesso. Fu la conquista della verità.

Ma fu solo temporanea. Presto mi trovai a fronteggiare un’altra sfida, ossia la manipolazione della verità ad opera del linguaggio. Il linguaggio naturale è inadeguato a rappresentare la vertià fattuale e oggettiva, e il motivo è la sua carenza di una definizione formale, come invece lo è quello matematico. Questo crea un “gap” (volontario o meno, non importa) tra la verità e la sua rappresentazione (Hegel, ci sei?). Avete mai visto quel video in cui c’è una fila di persone che disegnano una immagine sulla schiena replicando i movimenti che percepiscono sulla propria? Quello che il primo disegna una faccia e il tizio in fondo alla fila, invece, una merda. Siamo a questo livello.

Quindi se la verità è, ad esempio, un evento localizzato di cui siamo testimoni diretti, e assieme a noi ci sono altre persone che assistono, difficilmente otterremo da ciascuna lo stesso racconto di quell’evento. Ci sarà chi ha sentito di meno, o non ha capito alcune parole, chi non ha visto bene perché era in una posizione svantaggiata, chi conosceva, chi non sapeva, chi è arrivato un momento più tardi, chi ha frainteso le circostanze. E parliamo magari di una cosa molto semplice, come un incidente d’auto. Si potranno fare dei rilievi e stabilire alcuni dei parametri di questo evento: la durata, la velocità in cui le auto si sono scontrate, chi ha frenato più a lungo… tutti puntini discreti nel tessuto continuo di un evento, che si potranno unire, forse anche in modi diversi, per fornire delle ipotesi di verità che non potranno mai, fino in fondo, essere verificate né smentite. Ma siamo anche esseri pratici, e forse non è necessario conoscere ogni minimo dettaglio, se ci focalizziamo su di uno specifico contesto. Nel contesto dell’incidente di prima, quello che è sufficiente è capire come attribuire la responsabilità dell’evento, mentre in altri contesti ci interesserà solamente la dinamica fisica, o quella psicologica, o se esiste un disegno più ampio che coinvolge più attori.

Cosa succede, dunque, quando la Verità che vogliamo conoscere è articolata, comprende eventi accaduti a distanza di tempo e spazio, con attori differenti, con motivazioni differenti? Che cosa possiamo affermare essere Verità? Semplicemente non possiamo, e chi pretende di conoscere la Verità ha sempre e solo torto. Ma sempre questa stessa persona può avere motivi, intenti e obiettivi, e comprenderli può diventare un filtro per ripulire la sua verità da un bias. Le motivazioni diventano una meta-verità, che non è verità di per sé, ma ci da indizi su quale direzione prendere per comprenderla meglio. Così facendo, interrogando tutti i sospetti e rilevando tutte le tracce in perfetto stile CSI si giungerà alla Verità.

Ma ai fini pratici, è corretto pensare che esista una sola verità? Non è più pratico pensare che esistano, per ogni evento, più verità diverse? Del resto la fisica quantistica si basa esattamente su questo concetto di superposizione per cui due stati fisici differenti insistono contemporaneamente su una stessa entità, ed esiste certamente anche un modo formalmente corretto per descrivere questa condizione. Per la fisica subatomica probabilmente è possibile, ma come possiamo descrivere una funziona d’onda per gli eventi rilevanti nella nostra vita sociale, lavorativa e familiare?

Probabilmente non possiamo, e l’unica cosa vantaggiosa che rimane da fare non è forse quella di abbandonare il concetto di verità assoluta e iniziare a convivere con l’incertezza e con la probabilità? Forse il catturare quanti più frammenti di verità che riusciamo, potrebbe aiutarci a far pendere la bilancia della probabilità a nostro personale beneficio, o a beneficio di chi o ciò che ci sta più a cuore?

Capisco che qualcuno potrà accusarmi di opportunismo o di estremo relativismo, e lo accetto. Ma vorrei anche capire quali alternative restano, quale più alto beneficio si otterrebbe nell’accogliere una verità assoluta che nel migliore dei casi ci nasconderebbe le altre verità dall’esistenza. Un po’ quello che fanno i nostri Social Network preferiti: ti lasciano costruire delle confortevoli bolle sociali, in cui tu e i tuoi contatti avete visioni simili, e lasciano che questo potenziamento della nostra produzione di serotonina funga da rinforzo delle nostre identità a convizioni, e inibisca la capacità di metterli in discussione.

Se mi permetti, preferisco tenermi il mio caratteraccio e le mie periodiche crisi di identità, che, se da un lato è vero che non mi danno alcuna magica visione della Verità, almeno non mi fanno annoiare mai!

  • Se vuoi una guida per addentrarti nel concetto filosofico di Verità non ho trovato di meglio che questo immenso articolo del Dizionario di Filosofia Treccani

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