Il primo anno nel Fediverso
Un anno fa ho chiuso ed eliminato i miei account su Facebook, Instagram e Twitter.
I miei contatti personali del mondo fisico li trovavo su Facebook, e in parte anche su Instagram, dove però l’interazione era quasi esclusivamente da chi pubblica verso chi scorre lo stream.
Su Facebook, per qualche strano motivo, le persone che conoscevo erano trasfigurate in modo tale da essere quasi irriconoscibili. Trasudavano supponenza, esternavano giudizi temerari su ogni notizia, su ogni titolo di giornale, si ingaggiavano in interminabili scambi di battute con perfetti sconosciuti, offendendosi e talvolta augurandosi reciprocamente incidenti mortali.
Instagram, invece, l’ho sempre visto come la vetrina delle vanità. Piatti ricchi, splendidi panorami, labbra a culo di gallina, culi e cosce con filtri anti-cellulite in ogni dove.
Non che io sia stato esente da questa influenza tossica che mi spingeva a scorrere uno stream interminabile, o a commentare in modo acido, o ad ostentare features poco realistiche… solo che ad un certo punto me ne sono accorto, anni fa. Dapprima ho cercato di creare consapevolezza nelle mie cerchie, che invece sembravano non accorgersi che qualcosa ci stava rendendo più simili a bestie che a persone, o che facevano spallucce dicendo qualcosa del tipo:
Ma sono tutti qui, come si fa a non partecipare alla festa?
Poi ho lasciato perdere e mi sono chiuso nel silenzio. Fino al disgusto di vedere il mio babbo, ormai defunto, che parlava per “slogan” di Salvini, parola per parola. Su persone diverse questa influenza tossica agisce in modi diversi, immagino, e la mia avversione per le “feste” forse mi è venuta in soccorso.
Per Twitter, invece, dopo un periodo iniziale negli anni ‘10, ho perso ogni interesse. E sinceramente nemmeno entravo più per scorrere uno stream che aveva ormai portato i concetti di cinismo e scarcasmo a dei livelli disumani, quasi come se il limite dei caratteri fosse stato messo a bella posta per non dare modo di esprimersi o di spiegare, ma solo per pungere, graffiare, sparare: per me Twitter rappresentava un caos soverchiante, impossibilità di interazione umana, e insensatezza nell’investirci tempo.
Assieme ai questi social, ho avuto anche l’ardire di ripudiare Whatsapp. Così, da un giorno all’altro, ho salutato, chiuso l’account e disinstallato l’applicazione. Incontrando mia cugina qualche mese fa (viviamo in luoghi diversi), mi ha detto che ero sparito, che non si sapeva più come contattarmi. L’ironia è che il mio numero di telefono è sempre lo stesso, e che tutti ormai abbiamo piani telefonici da centinaia di minuti ed SMS gratuiti. Nessuno, tranne un unico amico, mi ha più cercato via telefono o SMS, quasi fossi divenuto un qualche freak o fanatico della disconnessione.
Tutto sommato mi è andata benissimo, e non rimpiango affatto le mie scelte. Però non ho perso la voglia di comunicare. Solo ho deciso di farlo in un modo più sostenibile per la mia personalità. Ho incontrato, dunque John Mastodon (meme intramontabile, che per la verità osservavo da qualche mese), e ho deciso di provare a ricostruirmi una socialità online libera dalla mercificazione dei dati personali e dal “capitalismo dei like”.
Mi ero iscritto, come primo approdo, a mastodon.uno. Ho provato a partecipare a tutte le conversazioni che ritenevo stimolanti, con una pesante presenza. Troppo pesante. Finché non mi sono accorto che avevo esportato proprio quel tipo di atteggiamento tossico che vigeva su Facebook.
Quindi non dipendeva dalla piattaforma, ma proprio da me?
No. …O almeno non esattamente. Era solo quella abitudine ad avermi seguito. L’ambiente non era affatto tossico, ero io ad essere intossicato. E serviva ripulirmi, in modo radicale. Era l’unico modo. Ho quindi chiuso il mio vecchio blog su Blogger, residuato di un periodo in cui avevo creduto alle parole di certi ciarlatani da LinkedIn, secondo cui avrei dovuto crearmi una presenza online autorevole, avrei dovuto trasformarmi in un brand se volevo avere successo nella vita. Tutte cazzate. Se volevo avere successo nella vita dovevo togliermi quella cazzo di cravatta e non aver paura di mostrare al mondo come ero veramente. E ho aperto questo blog, senza pubblicità, senza tracciamento, non so nemmeno quante visite ricevo. Questo blog che dopo tanti anni è divenuto l’espressione senza filtri di me stesso, della mia identità. Non mi creo problemi, a casa mia, a presentarmi in ciabatte o con la maglietta degli Iron Maiden.
Dopo qualche mese ho cambiato anche casa sul Fediverso. Sono passato da uno a livellosegreto. Uno iniziava a somigliare troppo a Twitter, era diventata una istanza troppo rumorosa, un porto di mare turistico, quando a me serviva invece il silenzioso molo dei pescatori.
Ho anche registrato la prima stagione del mio podcast, molto autobiografico, complice l’assenza della famiglia durante il periodo estivo. Una esperienza oserei dire quasi mistica. Registravo alcuni degli episodi più significativi della mia vita e di notte sognavo volti di persone conosciute, situazioni paradossali (tipo che rifacevo il concorso per entrare nuovamente in Accademia Navale alla soglia dei 50 anni…), dialoghi improbabili con parenti ormai scomparsi. E il tutto senza la minima idea di quanti ascoltatori abbia mai avuto. Non dovevo piacere, volevo soltanto liberarmi.
Da poco più di due mesi ho infine traslocato sulla mia istanza personale GoToSocial (https://gotosocial.org), che non è Mastodon, ma ci assomiglia: ho il mio minuscolo server qui sulla scrivania di casa, le mie “non-regole”, la mia isoletta dove tutti sono benvenuti, basta che a una certa…
Questo post, oltre a fare un bilancio di questo ultimo anno “social”, è ispirato ad alcuni articoli che ho letto nell’ultima settimana. Suppongo che siano in molti quelli che in questo periodo festeggiano il primo anno di Mastodon, in effetti! In particolare ho letto due post piuttosto critici, che non sconsigliano il Fediverso, ma ne evidenziano alcune carenze. E le carenze più evidenti, secondo gli autori, sono da attribuire alla moderazione delle istanze.
In effetti è vero, quello della moderazione è un problema noto, da quello che ho letto, da ben prima che Mastodon fosse popolare. La moderazione è in realtà da sempre un problema di ogni piattaforma sociale. Dalle prime chat, ai forum, le periodiche guerre di moderazione hanno distrutto e rimodellato di continuo le comunità online. Perché dalla responsabilità della moderazione emerge l’anello del potere che corrompe il portatore, dapprima in modo flebile, poi sempre più prepotentemente. Non è facile resistere. Cosa che, per inciso, non si è mai sentita sui Social Network commerciali, poiché i moderatori sono invisibili impiegati che non partecipano al dibattito. O almeno così appare: sono certo che in tutto il mondo molti moderatori di Facebook indugino in abusi di ogni tipo, coperti dall’anonimato e da regole troppo discrezionali, quando la moderazione non è, anzi, usata come strumento politico per piegare l’opinione pubblica verso direzioni ben precise.
Mastodon e il Fediverso operano in modo efficiente e rispettoso quando le istanze sono piccole, poche centinaia di iscritti, non quando si parla però di decine di migliaia. In questi casi la moderazione sbiadisce, le decisioni di moderatori divengono opache, la logica numerica prevale su quella qualitativa.
Così come il problema delle blocklist centralizzate, dove “qualcuno” decide che alcune istanze sono da “defederare”. Con criteri, anche in questo caso, discutibili, opachi oppure non totalmente disinteressati.
È un bene o un male?
Non è un bene, secondo me. È una forma di censura preventiva e pregiudiziale. Non che mi aspetti che un porcile diventi un hotel 4 stelle dal giorno alla notte, ma non mi pare corretto che qualche errore di valutazione o qualche ritardo nelle azioni di governo di una istanza ne determinino senza appello la disconnessione permanente dal fediverso.
Qualcuno ha anche osservato che alcune istanze impongono numerose, e talvolta singolari, regole in forma di divieti, laddove basterebbero poche e semplici “regole naturali” (qualunque cosa voglia dire). Ho visto anche regole di alcune istanze che somigliano molto più a manifesti ideologici o politici che a regole di convivenza. Questa varietà di comportamenti rende il fediverso un caleidoscopio di esperienze diverse e mutevoli, e in questo ci vedo potenziale, non problemi.
Purtroppo l’esigenza delle regole esiste, ma più che altro esistono individui incapaci di seguirle, non desiderosi di coesistere, che applicano sistematica violenza verbale per prevalere in modo fisico, mappano di forza la propria visione del mondo su quella degli altri, diffondono odio, polarizzazione e discriminazione per ottenere consenso dai loro simili, o anche semplicemente per sfogare una qualche forma di frustrazione. Una istanza generalista di Mastodon deve necessariamente fare i conti con questo tipo di individui.
“Appianare le divergenze”, secondo me, non è un compito sensato da attribuire ad un moderatore, o più semplicemente non è un moderatore che serve in quel ruolo, bensì un censore. Le divergenze devono essere espresse, razionalizzate e discusse, non soppresse. Quello che un moderatore deve fare è decidere se rinunciare ad un iscritto per mantenere l’identità dell’istanza e proteggere chi è più sensibile, oppure se accogliere quel tipo di diversità e cercare di “limarne gli spigoli”, una forma piuttosto detta bene che corrisponde al termine “manipolarla”. Le regole esistono per questo, non per appianare, ma per escludere o per punire. Altrimenti non mettiamole affatto.
Personalmente posso venire a patti con l’esposizione a immagini o testi particolarmente raccapriccianti o fastidiosi, con o senza content warning, ma non è così per tutti. Se una istanza decide di assumersi la responsabilità di protezione nei confronti di persone più sensibili a certi contenuti, allora deve fare il possibile, inclusa l’esclusione di chi non rispetta le regole, che questo piaccia o meno, e incluso nominare un team di moderazione che sia in grado di riconoscere vulnerabilità e misure di protezione adatte agli iscritti. Purtroppo non è sempre così, e una istanza gestita a livello amatoriale e/o volontario, per quanto bravi si possa essere, potrà fornire solo in pochi casi un supporto di moderazione adeguato.
Insomma è una questione spinosa, che ha implicazioni etiche non trascurabili e che più cerco di distendere e più si riannodano.
Certo, l’inclusività come valore fondante del Fediverso è un valore in cui anche io credo fermamente, ma un discorso è promuoverla e facilitarla, un altro è farsene carico, assumersene la responsabilità.
Sarebbe forse più intellettualmente onesto, da parte di molti amministratori, ammettere di non essere in grado di implementarla pienamente anziché indicare regole che poi non si riesce a far rispettare, con un chiaro codice di condotta e senza troppa discrezionalità. O forse sarebbe meglio tentare di formare gli iscritti all’uso degli strumenti di filtro, silenziamento e blocco, anziché offrire loro un bed & breakfast con l’aspettativa di una pensione completa.
Forse ho speso troppe parole inutili sull’argomento della moderazione. Non è certo mia intenzione spaventare né far fuggire chi fosse arrivato ieri e si stesse ancora chiedendo che non-luogo sia mai questo. Io ci vedo libertà e quella giusta dose di imperfezione che diventa potenziale, ci respiro lo stesso sentimento pionieristico degli anni ‘90 e di questo ho già parlato ampiamente nella mia lettera aperta al Fediverso, da cui è scaturita l’iniziativa della Federazione Blog Indipendenti.
Dunque il mio bilancio per questo primo anno è decisamente un bel sì a favore del Fediverso, ma senza troppe illusioni. Il Fediverso potrà essere sempre più rilevante solamente se saprà differenziarsi ancora, offrire più servizi senza invadere la privacy, e offrire alternative sensate e rispettose dei suoi principi fondanti rispetto all’advertising “classico” dominato dai pochissimi player internazionali. Sarà una stagione interessante da vivere e non vedo l’ora!