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Podcast: Il primo contatto con il computer

Stagione 01 - Episodio 02

In questo episodio voglio raccontarti come è avvenuto il mio contatto con i computer e la tecnologia digitale, un incontro che credo abbia segnato in modo inesorabile la mia vita.

Sto scaricando il podcast. Solo un attimo!

Trascrizione

Attribuzioni, riferimenti e ringraziamenti

Pubblicità Commodore VIC-20

PAPERsoft Gruppo Editoriale Jackson

FidoNet e l’Italian Crackdown

Suono del modem: Modem.mp3 by Jlev Licensed under the Attribution 3.0 License.

Musica sottofondo: Back To The Eighties Throwback Instrumental - Adeline Yeo (HP) by Adeline Yeo (HP) Licensed under a Attribution-ShareAlike 4.0 International License.

Trascrizione

In questo episodio voglio raccontarti come è avvenuto il mio contatto con la tecnologia, un incontro che credo abbia segnato in modo inesorabile la mia vita.

Siamo nel 1981, in un paesino in provincia di Arezzo, dove le cose, per accadere, se la sono sempre presa comoda.

Mio zio aveva un negozio di dischi e strumenti musicali di ogni tipo. Per un qualche scherzo del destino fu informato da un rappresentate della possibilità di rivendere anche, udite, udite, l’ATARI 2600. Era una cosa assolutamente nuova, mai vista, mai nemmeno sentita nominare per me che ero un cittino, bimbetto di quasi 5 anni.

Ovviamente il primo Atari che arrivò fu subito messo all’opera!

Ricordo che mio zio e il mio babbo persero due ore solamente per capire come andava sintonizzato il televisore per vedere le immagini!

Passammo un pomeriggio di gennaio a provare ogni gioco che era stato distribuito con la console. Inutile dire che sebbene la grafica fosse ridicola, se guardata con gli occhi di oggi, aggiungeva una intera nuova dimensione all’intrattenimento da tubo catodico: l’interazione.

Ero affascinato da quella tecnologia, ma la cosa che mi inquietava di più era vedere il mio austero riferimento di vita, mio padre, fare qualcosa che non aveva mai fatto prima, e che non avrebbe mai più fatto dopo: giocare a un videogioco per ore.

Ovviamente quell’Atari non era destinato alla nostra casa: l’inquietudine della mamma e della nonna, che vedevano nel mio engagement con quell’aggeggio un precursore di abbrutimento e di corruzione infantile, lo fecero riportare indietro al negozio per destinarlo alla vendita.

Un paio di anni più tardi, complice il mio hype per la martellante campagna pubblicitaria (il link lo trovate in descrizione) che millantava un boost nelle performance scolastiche, mio padre si decise a regalarmi il più “composto” Commodore VIC-20, con cui sarei divenuto un genio.

Ma da un grande potere, derivano grandi limitazioni, e potevo utilizzarlo solo per poco tempo alla volta; non mi compravano mai giochi nuovi, perché costavano, e quindi decisi di creare da solo il mio primo videogioco.

Fallii.

Ma il motivo era che non avevo il Datassette, un mangianastri a nastri magnetici uguali a quelli usati allora per la musica, e non potevo salvare i miei progressi su una cassetta per poi continuare il giorno seguente, mica perché a 7 anni non fossi in grado!

Qualche anno dopo, anche a causa della mia insistenza, mio padre cambiò il VIC-20 con, eccheccavolo era l’ora!!!, il LEGGENDARIO Commodore 64, corredato dall’attesissimo Datasette. Ma la storia non cambiò molto. È vero che i giochi su cassetta erano molto più economici di quelli su cartuccia, e se ne trovavno in giro di cloni come se piovessero, ma non si poteva spendere dell’altro per accontentarmi.

Allora ripresi in mano il mio progetto di dominazione del mondo, pompato da film culto come “War games” e dalla serie TV “I ragazzi del computer” che ci ricordiamo forse in 3 o 4… ma fortunatamente non DISPONEVO di un modem e abbandonai quel progetto, lasciando il mondo intatto.

Ma poco cambia, via! Iniziai a imparare il BASIC dal manuale e a scrivere i miei primi programmini. L’uccello ASCII che volava, lo SPRITE del disco volante, le catene di IF per simulare la mia personale intelligenza artificiale…

Acquistavo ogni mese in edicola, per 1000 lire (oggi sarebbero 50 centesimi) il PAPERsoft del Gruppo editoriale Jackson, una rivista che semplicemente stampava su carta i listati di programmi per varie piattaforme… e mi mettevo li per ore a copiarli, cercando di capirne il senso. Per farti capire, le righe del programma dovevano essere numerate a mano, non c’era il copia e incolla, l’evidenziazione della sintassi… nulla. Ma mi divertivo non poco!

Mia madre mi urlava in continuazione: “Hai fatto i compiti?” “Hai studiato?” “Smettila di giocare al computer”… per lei quello che non si faceva sopra un libro non era studio, crescita, sperimentazione. Era perdita di tempo. E come avrebbe potuto capire? poteva pensare diversamente? Il cambio di paradigma era così profondo che non se ne sarebbe accorta finché non le avessero installato i “terminali” alla banca dove lavorava. Allora iniziò a essere (un pochino) meno severa con il mio cazzeggio.

Io avevo trovato una dimensione che mi stava comoda, in cui vedevo progressi giorno dopo giorno, che non mi stancava capire e sfidare… ed questa la sensazione che oggi raccomanderei a un giovane di cercare, non necessariamente su un computer, può essere per qualunque tipo di altra attività manuale o concettuale.

Ci deve essere quella cosa che, anche se inizialmente difficile, non ti stanca ma ti tiene sempre la testa focalizzata a volerne ancora un po’: va solo trovata, e per farlo occorre vedere coi propri occhi, ma soprattutto mettere mano, su tutto ciò che si può… fiere, eventi, amici, video su youtube.

Tutto va bene se puoi sperimentare quella sensazione, che non è però quella di appagamento dei video ASMR, parliamo di attività in cui uno è il soggetto, non l’oggetto passivo che riceve. Bisogna dare, creare, studiare, scrivere, agire, guardare, sbagliare e cadere per trovare la dimensione giusta.

Avevo 12 anni quando mio padre si licenziò dalla Banca dove, anche lui, lavorava per intraprendere la strada del consulente libero professionista. E questo lo obbligò a dotarsi di un personal computer “vero”. Prese un IBM PS/2, un cassettone tremendo con processore 8086 a 8 MegaHertz, 20 MB di hard disk e 640 Kb di RAM, su cui girava MS-DOS 3.3… ovviamente io lo usavo di nascosto, avendone carpita la password, finché un giorno non divenne solo mio per anni a venire.

Fu il primo computer che riuscii a collegare a internet, con la linea analogica di casa e un modem scassato. Viaggiavo alla fantastica velocità di 9,6 KiloBit al secondo… non che le BBS avessero chissà quali payload da scaricare, ma fu un ulteriore nuovo grado di libertà. Non eri più limitato a che cosa poteva fare il tuo computer in casa tua, ma avevi a disposizione un mondo intero senza muoverti di un passo. A tal proposito vi invito a leggere la cronaca delle vicende di FidoNet in Italia e del relativo Crackdown, che inferì un colpo micidiale alla telematica privata e amatoriale in Italia… Il link in descrizione!

Se ci penso, le grandi innovazioni di cui sono stato testimone nei miei primi anni di vita, sono quelle che hanno liberato le persone da vincoli. La TV che non più solo unidirezionale, ma con cui puoi interagire, o il PC che non è più solo costretto alla solitudine, ma diventa un membro di una “società”, di una rete di pari con cui condividere informazioni, conoscenze, esperienze, opinioni.

Ma ad ogni vincolo che veniva rimosso e al relativo grado di libertà che veniva guadagnato, si manifestava una resistenza talvolta irrazionale, ma a volte, e penso a mia nonna e a mia mamma, legata alla prudenza. La prudenza di Dedalo solo superficialmente simile alla caccia alle streghe. Quella dell’esperienza di vita, di preoccupazione per i propri cari, contro quella del terrore e dell’irrazionalità.

Libertà e Regolamentazione: due aspetti indissolubilmente legati, entrambi portatori di luce ed ombra, in cui la differenza la fanno gli intenti, la conoscenza, ma soprattutto la consapevolezza.

La lezione che ho imparato dalla mia giovinezza, e che forse solo oggi, dopo 25 anni, ho compreso, è questa. Gli strumenti che usiamo ci possono portare beneficio solo conoscendoli a fondo e appieno e allo stesso modo non possiamo trarre beneficio da qualcosa che facciamo solo perché obbligati SOLO da convenzioni sociali che limitano il nostro spazio aereo. Equilibrio e conoscenza.

Grazie per avermi ascoltato anche in questo episodio… Nel prossimo ti racconterò dell’Accademia Navale di Livorno, e dei miei 113 giorni di consegna su 200.

Ti auguro vento in poppa e mare calmo!

Commenti

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In data 2023-10-26, Luigi ha commentato:
Ma come sei bravo! Mi piacerebbe tanto imparare a fare un centesimo di quello che fai. La “vecchiaia” la combatto a modo mio 😉
In data 2023-10-26, 77nn ha commentato:
Grazie @Luigi, ma sono solo uno "smanettone" che non riesce a stare fermo!

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