Podcast: Clarior Ex Tenebris
Stagione 01 - Episodio 04
Il titolo di questo episodio è il motto del Sommergibile Gianfranco Gazzana Priaroggia, che è stato il primo sommergibile su cui ho prestato servizio, una volta terminata l'Accademina Navale, come ufficiale di rotta.
Se non hai ascoltato l’episodio 3 del podcast, questo potrebbe essere un buon momento per farlo, prima di proseguire… oppure no, alla fine questi episodi della mia vita mi fanno da sponda per affrontare questioni e interrogativi più intimi delle storie che racconto.
Il titolo di questo episodio è il motto del Sommergibile Gianfranco Gazzana Priaroggia, che è stato il primo sommergibile su cui ho prestato servizio, una volta terminata l’Accademina Navale, come ufficiale di rotta.
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Attribuzioni, riferimenti e ringraziamenti
A day in Port-Royal by Ending Satellites CC-BY-NC-SA - Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 License.
Epic Electric by Serge Quadrado CC-BY-NC - Attribution-NonCommercial 4.0 International License.
Energy by Scott Holmes Music CC-BY-NC - Attribution-NonCommercial 4.0 International License.
A floating point by Ending Satellites CC-BY-NC-SA - Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 License.
A Rush Of Blood To The Heart by Mr.ruiZ CC-BY-NC - Attribution-NonCommercial 4.0 International License.
Trascrizione
Se non hai ascoltato l’episodio 3 del podcast, questo potrebbe essere un buon momento per farlo, prima di proseguire… oppure no, alla fine questi episodi della mia vita mi fanno da sponda per affrontare questioni e interrogativi più intimi delle storie che racconto.
Il titolo di questo episodio è il motto del Sommergibile Gianfranco Gazzana Priaroggia, che è stato il primo sommergibile su cui ho prestato servizio, una volta terminata l’Accademia Navale, come ufficiale di rotta.
Dicevo questo è stato il primo, mentre il secondo imbarco, qualche anno dopo, da capo servizio armi e sensori subacquei, l’ho fatto sul Sommergibile Salvatore Pelosi. Ma come ci sono finito nella “scatoletta del tonno”? Beh, la decisione è stata tutta e solo mia. La componente subacquea della Marina Militare non accetta alcuno che non esprima il desiderio di appartenervi, e questo per numerosi e ovvi motivi. Uno dei quali è che le scelte operate con consapevolezza e decisione sono quelle più difficili da rimangiarsi dopo che ne hai assaporato gli aspetti più amari.
Non che l’imbarco su un sommergibile sia chissà quanto amaro, perlomeno per il mio modo di vedere le cose, ma ho assistito a scene drammatiche di collaboratori che dopo aver trascorso quasi 17 anni bordo non ne potevano proprio più. E non posso negare di solidarizzare con loro. Tutto sommato il mio imbarco, tra il primo e il secondo sommergibile, è durato poco meno di 7 anni, prima del mio congedo (che non è legato ai sommergibili in alcun modo).
Il Gazzana è un sommergibile “convenzionale” (ovvero NON-nucleare) con propulsione diesel-elettrica, cioè è dotato di accumulatori, delle grosse batterie, che periodicamente necessitano di essere ricaricate, appunto, da dei motori diesel. E questo avviene a intervalli più o meno regolari, durante la navigazione. Per poter caricare le batterie il sommergibile deve salire appena sotto al pelo dell’acqua e sollevare un grande tubo di aspirazione con cui far entrare l’aria per consentire l’accensione dei motori.
Oggi la Marina è dotata anche dei più numerosi sommergibili della classe U212-A, che vantano un elevato livello di automazione delle manovre, sei sensori acustici e ottici di prima classe e soprattutto un sistema di propulsione “indipendente dall’aria” o AIP, ovvero a fuel cells (idrogeno). Con questo sistema può rimanere in immersione senza la necessità di utilizzare il motore diesel (ce ne ha uno comunque per ogni evenienza).
All’epoca del mio imbarco il Gazzana era invece il sommergibile più moderno e recente della nostra seppur piccola flotta subacquea. Era appena uscito dai lavori di ammodernamento ed era cazzutissimo! Arrivai a bordo nel mese di settembre, dopo la licenza alla fine dell’Accademia. Ero un giovane Guardiamarina, intraprendente e acuto, e come prima cosa il Comandante (che non nomino, ma che saluto, oggi, con tanto affetto) mi mise a studiare tutte le monografie che descrivevano con un grande dettaglio tecnico, le varie parti del sommergibile e come farle funzionare.
Devo fare un altro piccolo “dive”… Quando un sommergibile sta in porto l’equipaggio non dorme a bordo, perché non c’è spazio per tutti. Quindi nelle varie basi dove di volta in volta ormeggia ci sono degli uffici e delle palazzine con delle camere disponibili per tutto l’equipaggio. Fortunatamente il tempo che un sommergibile trascorreva in mare, se ricordo bene, era al massimo di 6 mesi l’anno.
Siccome negli uffici non c’era posto per un guardiamarina appena arrivato dall’accademia, là si lavorava sodo, il mio posto era un camerino a bordo dove erano stipati questi “volumi” da leggere tutto il santo giorno. Quando alle 18.30 circa mi incamminai verso gli uffici per avvisare che stavo chiudendo la giornata, tutti mi guardavano stupiti dicendo “Come? Vai già via?” “Hai delle faccende da sbrigare”? “Ma dopo torni?”…
Vi lascio immaginare il mio stato d’animo. Io non mi sono mai tirato indietro per nulla, in vita mia, quando c’è stato bisogno. E sentirmi dire così mi feriva, mi offendeva. Non avevo problemi e restare, ma non c’era alcuna necessità. La famosa “spivolatura” di cui vi ho già parlato, che non finisce mai… Mi adattai a questo modo di fare e poi non ci ho fatto più caso, ma inizialmente mi metteva a disagio ogni sera. Sapevo di non contare nulla, era come essere di nuovo al primo anno di Accademia, e avevo voglia di dimostrare quanto valessi, ma non era il momento. Dovevo assorbire, restando “in penombra” (ricordi dallo scorso episodio?). E così feci.
Dopo un mesetto iniziava il corso di base alla scuola sommergibili di Taranto e sarebbe durato qualche bel mese. Eravamo in tre guardiamarina del mio corso all’accademia, tutto sommato tre persone non sgradevoli, e fu come tornare indietro nel tempo.
Terminato il corso avevamo qualcosa come un anno, al più, per acquisire, con la pratica reale a bordo, l’abilitazione al “Comando di Guardia”. Dovevamo essere in grado di assumere il comando del sommergibile per tutto il tempo del turno di guardia e seguire le consegne del Comandante. Ovviamente dovevamo conoscere a perfezione tutte le manovre di immersione, emersione, “venuta a vedere” e disimpegno, oltre che le procedure di emergenza (falla, incendio, uomo a mare, siluro in arrivo, etc.).
Ma la parte più difficile non era quella. Era guadagnarsi la fiducia di tutti. Potevi sapere alla perfezione ogni dettaglio, ogni minuzia… ma non avresti cavato una prestazione migliore di “mediocre” da nessun membro dell’equipaggio che non ti considerasse degno di fiducia.
E la colpa era solo tua.
Cosa vuol dire, per un sommergibilista, essere riconosciuto come “degno di fiducia”?
Significa che devi sudare nel caldo dei condizionatori spenti per assetto silenzioso,
che puoi fare una doccia di 3 minuti ogni qualche giorno a volte una volta a settimana,
respirare gasolio che permea ogni indumento, ogni locale del sommergibile e ogni pietanza o bevanda,
sporcarti di grasso che viene copiosamente applicato su ogni superficie metallica da proteggere,
bere il caffé di merda che prepara la mensa senza lamentarti
e vivere in immersione, vedendo il cielo, consapevole di essere privilegiato, solo attraverso il periscopio, che non a tutti è concesso utilizzare, per un mese di fila.
Quando avrai compiuto e compreso tutto questo, e se avrai padroneggiato le procedure e la tecnica del sommergibile, allora ti accetteranno. E faranno una festa particolare per dirti che ti accettano, che non è concessa a tutti, in cui giurerai davanti ad una divinità non ortodossa la tua lealtà al “ferro e alla carne” che ti circondano, in un momento indimenticabile di fratellanza e complicità.
Osservato a mente fredda, anche questo non è che un altro “rito di passaggio”, l’ennesima “decostruzione e ricostruzione” che ti porta un passo più vicino a quella lucida follia che serve per non avere paura quanto senti stridere il ferro a causa della pressione, quando a 200 metri di quota capita un blackout, o quando i timoni non rispondono perché la centralina idraulica ha dato di matto per qualche minuto. Ho visto compagni nel panico afferrare il portello cercando di aprirlo (è impossibile) per scappare e ho dovuto afferrarli fisicamente e rimetterli a sedere alla loro postazione, per evitare di peggio. Non è tutto tecnica e sangue freddo, come nei film.
Siamo tutti esseri umani, per quanto potremo mai essere addestrati e preparati, e siamo tutti deboli in qualche aspetto. C’è chi non ha le palle per ammetterlo, c’è chi è troppo orgoglioso, chi arrogante, ma ci caghiamo tutti nelle mutande quando si ha paura.
Avrei mille storia da raccontare di questi 6 lunghi anni, situazioni di paura, situazioni di trionfo, tante missioni di cui invece non posso parlare. I sommergibili, ma soprattutto i sommergibilisti, sono nel mio cuore e lo saranno sempre finché avrò fiato. Sentirsi parte di quella “cricca” mi fa sentire sempre orgoglioso di una scelta che rifarei in ogni vita. A distanza di anni, mia moglie mi è testimone sentendomi parlare nel sonno, io sogno di essere ancora in missione, da qualche parte nel mediterraneo, e do ordini di manovra concitati e reali. E mi sveglio riposato. Non sono incubi, sono i sogni più belli che riesco a fare.
Quello che mi è rimasto, se devo sintetizzare, da questa esperienza importantissima, è l’orgoglio dell’appartenenza a una vera élite. Una élite silenziosa, di cui non si sente mai parlare, fatta di persone che sacrificano tanto, ogni giorno, per anni, senza grandi riconoscimenti o gratificazioni. Quelle persone che, intimamente, non lo ammetteranno mai!, godono di quello che sono e non hanno bisogno di essere motivati per quello che devono fare. E c’è una sola parola che è in grado descrivere questa circostanza, ed è “passione”.
La passione, diceva il mio primo Comandante, è qualcosa che ti fa fare cose sovrumane. È pericolosa se ti prende, ma è peggio se NON ti prende.
E la passione sia dunque la scoperta di questo episodio, e la passione sia quella che ti raccomando di scoprire e abbracciare, perché sarà grazie a quella che arriverai all’apice delle tue capacità. Passione e compagni, però.
Anche in questo caso alla fine sono emersi i compagni. Rispondendo ad un commento dell’episodio scorso, ho tirato fuori il termine corretto, che forse è più indicato di “cameratismo”. E questo termine è giapponese: si legge “nakama”, ma si scrive “amici”.
Grazie per avermi seguito fino a qui! vi auguro vento in poppa e mare calmo! Alla prossima!