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Podcast: Il barbiere di Sulimaniah

Stagione 01 - Episodio 08

Nello scorso episodio vi avevo lasciati con un bel carico partito via nave alla volta del Kurdistan... e nel frattempo, all'inizio dell'anno, mi ero trasferito a Sulimaniah, città della regione del Kurdistan Iracheno.

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Trascrizione

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Magic Mountain by Jahzzar - CC-BY-SA - Attribution-ShareAlike 3.0 Unported

Driver by Jahzzar - CC-BY-SA - Attribution-ShareAlike 3.0 Unported

Roads that burned our boots by Jahzzar - CC-BY-SA - Attribution-ShareAlike 3.0 Unported

Last Dance by Jahzzar - CC-BY-SA - Attribution-ShareAlike 3.0 Unported

Trascrizione

Di nuovo, bentrovati. Nello scorso episodio vi avevo lasciati con un bel carico partito via nave alla volta del Kurdistan… e nel frattempo, all’inizio dell’anno, mi ero trasferito a Sulimaniah, nella regione del Kurdistan Iracheno.

Erano i primi giorni di Gennaio e faceva freddino. Ero partito da Bologna, scalo a Istanbul e poi volo diretto per Sulimaniah (ed è già tanto che ci fosse un aeroporto internazionale!). Mi accompagnavano i fidatissimi Tommaso e Rodolfo, due ragazzi in gambissima, con cui ero legato anche al di fuori del lavoro.

L’hotel dove avevamo prenotato l’alloggio era arredato con un gusto molto mediorientale. Sulle pareti della hall, coperte di carta da parati con motivi da tappeto persiano, erano appesi, fucili, pistole, spade e coltelli. I pavimenti erano coperti da una foltissima moquette di un colore scuro, non ricordo se era verde, rossa o marrone, che rendeva il passo ovattato, come quasi camminare sulla sabbia. Le camere erano piuttosto deludenti e la pulizia non era curatissima. Dopo due giorni decisi di cambiare hotel, dopo averne visitato un altro che offriva dei mini appartamenti con cucinotto e 2 camere da letto, oltre ad un ampio soggiorno. Dovevamo avere una base dove restare per diversi mesi, con una certa rotazione. A me, per ovvi motivi, capitò il turno più lungo, con un paio di rientri in Italia nell’arco di 6 mesi.

La prima attività da affrontare fu la ricezione dei TIR con le casse dei materiali e la spunta dell’elenco alla presenza della committenza e dei loro consulenti. Il che avvenne con un paio di giorni di ritardo, dato che erano stati fermati alla dogana Kurda… si riuscì a sbloccare solamente grazie all’intervento del Ministro, dopo una sua telefonata infuocata con il ministro del commercio…

Pur avendo richiesto la disponibilità di un muletto… Non ne trovammo uno sul posto… per cui scaricammo tutto a mano. Le casse più pesanti le aprimmo all’interno del TIR e portammo le scatole sfuse. Fortunatamente gli oggetti in assoluto più pesanti erano le enormi bobine dei cavi elettrici e di fibra ottica, e la fortuna era che erano circolari e si potevano far rotolare. I quadri elettrici non erano ancora arrivati e riuscimmo a far predisporre un muletto per il giorno successivo. In due giorni arrivò tutto il materiale, con solo una telecamera rotta e un pezzo di cavo radiante tagliato (con un coltello, per vedere dentro… meno male era più lungo di una ventina di metri rispetto a quello che ci sarebbe servito!). Tutto sommato un grande successo!

Iniziammo quindi a predisporre il piano, anche sulla base della disponibilità dei mezzi di lavoro. Alcune cose andavano installate sulla volta della galleria, altre invece ai lati, ma ci sarebbe sempre servito un cestello aereo. I mezzi che ci rifilarono (pagandoli!) erano delle piattaforme semoventi su ruote, velocità massima: 2Km/h. Ottenemmo anche un elevatore elettrico a pantografo, che dopo una settimana prese fuoco e dovemmo trascinare a forza fuori dalla galleria alle 3 di notte.

Già, perché in tutto questo i lavori dentro la galleria dovevamo farli di notte, perché di giorno era aperta al traffico. C’erano due casottini con guardie armate ai due ingressi della galleria che potevano bloccare il traffico a richiesta. In realtà, poi, scoprimmo che se il tizio che doveva attraversarla era importante, poteva passare anche di notte… In un paio di occasioni abbiamo rischiato il disastro… il ricordo di questa BMW nera, sparata a oltre 150Km/h in galleria mentre noi stavamo facendo i collegamenti con i ventilatori… e relativa inchiodata a 1 metro dai carrelli… mi fa ancora gelare il sangue nelle vene.

I lavori procedevano. Avevamo ingaggiato due ragazzi di là che erano molto svegli e imparavano velocemente. Il terzo si presentò con i mocassini senza calze e dovemmo mandarlo via, ma non tornò più.

Iniziammo dalle cose fondamentali: la fibra ottica per la rete e quella per la misura delle temperatura lineare, le colonnine di chiamata di emergenza, che avevano al loro interno uno switch, l’elettronica per le comunicazioni VoIp e un PLC per collegare i sensori e i comandi per i ventilatori. Nel frattempo una ditta turca realizzava i collegamenti in media e bassa tensione sui quadri elettrici che avevamo fornito noi, compresi i famosi inverter dell’episodio scorso.

Non so esattamente quanti kilometri percorrevo a piedi ogni giorno, nei primi mesi, ma erano TANTI. Una volta stabilita la tensione elettrica potemmo lavorare con le luci della galleria, anziché con le lampade montate sul tetto del pickup che avevamo preso a noleggio. Iniziai un lavorino divertentissimo che consisteva nel muovermi a piedi su ciascun colonnino SOS con un tavolo e un PC portatile, caricare il programma del PLC, calibrare gli opacimetri e gli anemometri e testare tutti gli ingressi e le uscite.

Una volta completato l’arredo interno della galleria arrivò il direttore lavori, un signore calvo e minuto con grandi baffi neri. Era un totale incompetente, ma aveva l’autorità. Era venuto a controllare lo stato dei lavori (avevamo un pagamento in scadenza legato all’avanzamento delle attività). Ci chiese se le viti che avevamo utilizzato per ancorare tutta l’attrezzatura alle pareti era in acciaio INOX. “Ovviamente no!”, risposi, era tutto in acciaio zincato. Non c’era alcuna specifica o requisito legato al materiale per gli ancoraggi. Ma ero certo che sarebbero durati più della galleria, che evidenziava già parecchie crepe e infiltrazioni di acqua (mentre dovrebbero invece essere completamente impemeabilizzate). Non aveva senso l’acciao inox. Iniziò una diatriba incessante, e da parte loro non c’era alcuna volontà di conciliazione. Alla fine cedemmo e ci facemmo spedire dall’Italia una cassa intera piena di viti e minuterie varie in acciaio INOX. Costavano un delirio! E le sostituimmo tutte quante.

Rodolfo e Tommaso finirono il grosso del lavoro verso marzo, mi pare di ricordare, e tornarono in Italia. Dopo una settimana o due sarebbe tornato uno solo di loro per aiutare con le altre cose rimaste, come il locale batterie dell’UPS, alcuni cablaggi di controllo per i quadri elettrici e i pannelli a messaggio variabile. Rimaneva la messa a punto di tutto il software e delle connessioni lato control room, ma non prima di aver collaudato i quadri elettrici.

La mattina che la direzione lavori decise di avviare i ventilatori con comando manuale io mi cagavo addosso. Ricordi il famoso discorso degli inverter troppo lontani dalle macchine da alimentare? Ecco. Quello. Ero davanti al quadro, pronto ad azionarli. Arrivò anche il ministro… e mi disse: “Accendili tutti in una volta”… Cazzo! Ero serio come un cartello. Iniziai dalla prima “terna” di ventilatori. SI iniziò a sentire il sibilo dell’inverter, sempre più alto di frequenza e sempre più forte, diventare un fischio. Non ero preparato a quel volume e dentro di me pensavo che qualcosa non stava funzionando. Poi la seconda, la terza, la quarta e infine la sesta terna, tutte fischiavano all’unisono e non si riusciva a stare nel locale tecnico dal rumore. Uscii fuori e guardando verso la galleria vidi uscire un getto di polvere nera che copriva la vista per duecento metri. Tutta la polvere accumulata negli anni che veniva espulsa in una sola volta… uno spettacolo! dopo 15 minuti di ventilatori al massimo (erano solo metà dei ventilatori, l’altra metà era controllata dalla control room gemella all’altro capo della galleria) non usciva quasi più polvere. Mi “affacciai” all’ingresso e per la prima volta dopo 3 mesi che ero a lavorare lì dentro vidi l’altro ingresso a quasi 3 Km di distanza brillare nel buio. Funzionavano! La prima scommessa era stata vinta ed ero contentissimo!

Nei giorni successivi attivammo le luci e tutto quanto. Dopo una settimana finii di crimpare i patch panel nell’armadio dei server e collegai tutto quanto al sistema di supervisione. C’era ancora tanto da fare, anche se molto era già stato fatto. Arrivò anche l’altro collega che aveva sviluppato per la maggior parte il sistema di supervisione e ricontrollammo tutti i segnali. Ma la gestione automatica dei ventilatori non era per nulla a punto. Avevamo adattato i programmi per le gallerie autostradali (a doppia canna, ciascuna a senso unico di circolazione) a quella galleria (singola canna a doppio senso) e qualcosa non andava. Lo specialista dei PLC della nostra azienda aveva dato le dimissioni a Gennaio. Ufficialmente perché aveva trovato un altro impiego meglio retribuito, ma io ho sempre sospettato che non fosse particolarmente intenzionato a stare un paio di mesi in Kurdistan… Poco male. Avevo seguito lo sviluppo delle librerie e sapevo dove mettere le mani. Dopo un paio di settimane l’algoritmo di ventilazione era di nuovo “rock & roll” e dopo un mese era quasi tutto finalmente a punto.

Avevamo qualche problema con il sistema di registrazione video, che aveva un software pietoso, e con il videowall, dove si vedevano i flussi video di tutte le telecamere. Non avevamo acquistato un software di “regia” del videowall, non ce la facevamo: avevo scelto io di non comprarlo. Sviluppai tutte le logiche di “regia” del videowall utilizzando AutoHotKey e il player VLC. Era venuto un gioiellino. All’avvio si aprivano su ogni schermo 4 finestre di VLC, nell’ordine prestabilito e si collegavano alle camere. Se una camera si disconnetteva per più di 15 secondi automaticamente la finestra veniva chiusa e riaperta nella stessa posizione. Facendo doppio click su una finestra questa andava a schermo intero e ripetendo il doppio click ritornava a posto. Le camere DOME, invece aprivano l’interfaccia HTTP con i controlli per il pan e lo zoom.

Il sistema SCADA invece funzionava benissimo. Le due control room gemelle potevano entrambe gestire autonomamente l’intera galleria e tutti i PLC in campo erano stabili e sempre connessi. La topologia della rete era ad anello: con una rottura della fibra non avremo perso nemmeno un PLC, ce ne volevano due, ai due imbocchi opposti della galleria per metterne fuori servizio il 50%, caso limite che consentiva comunque di avere un controllo sul tunnel, con una granularità dimezzata, ma completo. Anche la radio, su cui avevo dei seri dubbi, funzionò bene. Ci vollero un paio di chiamate a Genova, dal produttore, ma alla fine risolvemmo tutto. La prima trasmissione del canale FM della galleria fu il mio CD del Black Album dei Metallica.

Tutto andò per il verso giusto e anche gli imprevisti li risolvemmo senza troppo dolore, il peggiore, tutto sommato, fu quello delle viti INOX… Ma quello che non potevamo prevedere fu la nascita del califfato dello stato islamico. A giugno c’erano state avvisaglie di problemi, dalla TV e anche in città. La circonvallazione di Sulimaniah divenne lentissima da percorrere, con rastrellamenti della polizia e dei militari che controllavano documenti a tutti, e il costo della benzina che schizzò alle stelle. Eravamo così vicini alla fine…

Non so quale fu il motivo che vide il piccolo signore baffuto (che avevo iniziato ad odiare per la sua arroganza direttamente proporzionale alla sua inettitudine e incompetenza) mettermisi contro alla chiusura dei lavori. Mi rilasciò una punch-list di tutte le cose non completate. Che io lessi e a cui risposi punto per punto.

Questa lista di una ventina di (letterlamente) cazzate comprendeva: il joystick per muovere le telecamere (che non era previsto), le luci gialle lampeggianti alle sbarre che chiudevano il traffico (che c’era dal lato del traffico e non anche “contromano”, mentre la volevano anche là), il fatto che i ventilatori si accendevano apparentemente in modo casuale (mentre in realtà mantenevano uniforme il numero degli avvii e delle ore di funzionamento) che secondo lui non era efficiente (sulla base di… nulla).

Insomma ci si era messo di traverso. E il motivo che mi sono dato era che da quel momento in poi lo avrebbe dovuto gestire lui in esercizio. Il direttorato, consigliato in malafede, aveva rifiutato la nostra offerta di operazione triennale con personale locale e uno di noi a rotazione in trasferta, inclusi mezzi di pulizia e di lavoro (che erano pietosi quelli a disposizione) con incluse le manutenzioni e gli aggiornamenti.

Volevano invece prendere loro questo bel lavoro e volevano che restassimo lì più a lungo per completare una lista che non aveva senso e nel frattempo imparare il più possibile da noi. Ma l’ISIS spingeva sempre di più e non ci sentivamo al sicuro. Tanto più che il lavoro era finito e il joystick glielo potevamo anche spedire…

Alla fine di giugno abbandonammo tutte le attrezzaure (tutta roba di altissima qualità, Hilti, per intenderci) e scappammo letteralmente con il primo aereo a disposizione. E gli ultimi due pagamenti non ci arrivarono mai. Provammo diverse volte, ma ogni volta ritiravano fuori la lista, a cui avevo ormai risposto 3 o 4 volte.

Al di là dell’esito sfortunato per me è stata una esperienza irripetibile da cui ho imparato tantissimo tecnicamente ma anche sulle relazioni con la committenza e con la cultura di una “nazione” antica, che mi era ignota.

Ho imparato ad apprezzarne il cibo, come lo “shish kebab” alla kurda, e i vari altri piatti della loro tradizione. Avevo imparato a contrattare con i venditori, andavo dal barbiere del posto che mi faceva una bella barba con lo zigomo alto e i capelli con una pronunciatissima riga centrale, facevamo colazione con una specie di piadina salata buonissima (cucinata con grassi animali, dato il bruciore di stomaco che mi provocava!). Ci riconoscevano nei locali che frequentavamo per cena e ci hanno salutato con piccoli regali quando siamo andati via. Una esperienza umana intensa e che rimarrà sempre nel mio cuore, come se ormai fossi un po’ kurdo anche io (il che potrebbe benissimo essere, data la mia fisionomia).

Dal punto di vista lavorativo è stato un progetto sfiancante, sia fisicamente che mentalmente. Ero sempre ricercato da tutti, dovevo prendere decisioni, rimediare ai problemi, sollevare questioni per la nostra sicurezza sul lavoro quasi quotidianamente. Non c’erano sabati né domeniche, ho lavorato 12 o 13 ore al giorno per tre mesi, a cavallo della notte, e talvolta ho anche dormito nella control room, nel periodo di maggiore pressione. Ma mi sono anche divertito, ho riso, ho visto le pecore gonfiate con la pompa della bici, gente che veniva in cantiere con i mocassini o i sandali, ho storie da raccontare ai nipoti per anni…

Quindi che dire… solo: grazie per avermi ascoltato in questo lungo racconto. Con questo chiudo l’episodio in due parti del tunnel del kurdistan e ti do un anticipo sul prossimo episodio in chiusura di stagione. Ti racconterò della mia assunzione presso un colosso di multinazionale basata in India, del lavoro che ho svolto e di come mi abbia dato l’opportunità conoscere e far parte della grande azienda in cui oggi lavoro con orgoglio e passione.

Di nuovo grazie per vostra attenzione! Vi do appuntamento al prossimo e ultimo episodio della stagione, al solito la prossima settimana!

Ciao e Sigla!

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